“Nell’ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a salvaguardare l’euro con ogni mezzo. E credetemi, sarà sufficiente”
[Mario Draghi, 26 luglio 2012]
Chi ricorda quegli anni, connotati dal lungo strascico della crisi economico finanziaria abbattutasi a livello pressoché globale a cavallo degli anni 2007 e 2008, ricorderà anche il clima di generale incertezza politica dilagante nell’eurozona periferica che portò a stravolgimenti sul piano non solo della geografia parlamentare, ma anche sociale e macroeconomico.
La fine del governo Berlusconi IV e l’avvento del tanto vituperato Mario Monti e di quella che fu definita becera dittatura tecnocratica, la crisi greca, la questione cipriota, i paesi P.I.I.G.S. e i loro “debiti tossici”.
Ma siamo così convinti che tutto ciò che fu fatto in quegli anni per far fronte a una crisi vera sia tutto da buttare nella pattumiera del dimenticatoio o addirittura da bollare a priori come inadeguato in nome di vacue barricate ideologiche (o presunte tali)?
Siamo davvero convinti che alla luce della totale, conclamata, arrogante inadeguatezza di chi ci governa a far fronte anche a una banale lista della spesa, i rimedi esogeni che ci vengono proposti (attivazione del MES in primis) non si rivelino occasioni migliori per uscire da questo impasse?
L’impatto di una spesa sanitaria cresciuta, purtroppo, esponenzialmente per le ben note ragioni che attanagliano il pianeta e una conseguente mortificazione del tessuto produttivo nazionale, si possono realmente affrontare ricorrendo al credito dei mercati?
Per rispondere, anzi, magari, diciamo per chiarirci un po’ le idee, facciamo un passo indietro.
Il 26 luglio del 2012, Mario Draghi, allora presidente della BCE tiene un discorso davanti alla “Global Investment Conference” consegnato alla storia come “discorso di Londra” in cui non faceva altro che prendere atto della circostanza che la BCE riteneva inaccettabili i premi per il rischio che la paura della reversibilità della valuta comune imponeva ad alcuni paesi membri in difficoltà macroeconomica.
Per la fredda cronaca, l’intera eurozona periferica era sotto attacco speculativo in quel momento.
Tale situazione, accentuata proprio dagli attacchi speculativi sempre più frequenti, dall’instabilità politica e dalla necessità (divenuta ormai improrogabile) di armonizzare le politiche finanziarie comunitarie spinse il legislatore europeo ad adottare misure drastiche come, appunto, un fondo concepito sulla falsa riga del FMI (Fondo Monetario Internazionale) con una capitalizzazione abnorme (700 miliardi!) per prevenire eventuali situazioni di insolvenza di Stati membri.
Ma che si voleva intendere esattamente per insolvenza?
Brutalizzando il discorso, quando in politica monetaria si parla di “insolvenza” si fa riferimento generalmente a tre fenomeni: bankrupcy, failure to pay, restructuring (plausibilmente lo scenario più comune quando si tratta di debiti sovrani).
Ebbene, fatta chiarezza sugli strumenti concepiti per far fronte ad una crisi epocale come quella di circa dieci anni fa, torniamo al presente. Nel presente, per l’appunto, l’Italia in che condizioni si trova?
Ad onor del vero, l’Italia non è in nessuna delle situazioni accennate. Ma sta di fatto che dall’inizio dell’emergenza sanitaria, per varie e tante motivazioni che spaziano da politiche economiche scellerate messe in campo dai governi gialloverde e giallorosso (il giallo guarda caso c’è sempre quando si parla di sfascio) a fattori pregressi che affondano le radici negli ultimi 30 anni di svendite di Stato e politiche schizofreniche, l’Italia si trova ad affrontare un debito pubblico lievitato al 136% del PIL (i debiti pubblicidi Germania, Danimarca ed Olanda sono pari al 59%, 33% e 49% dei rispettivi PIL).
Ciò posto, a prescindere dai giudizi di merito sulla gestione dell’emergenza pare evidente che i Paesi virtuosi dal punto di vista del merito creditizio (declinato secondo i rispettivi giudizi di rating) non abbiano la minima intenzione di sobbarcarsi i costi degli sprechi altrui sovvenzionando quell’invenzione di qualche giornalista chiamata “coronabonds”.
Eh già, i coronabonds, o eurobonds o bonds europei o James Bond (che sarebbe più credibile) che cosa sono con esattezza?
Nel contesto della crisi dei debiti sovrani nell’area monetaria euro (a partire dall’estate 2011) gli eurobonds (o anche stability bond) sono stati concepiti come un ipotetico meccanismo solidale e perequativo di distribuzione dei debiti a livello europeo.
Il meccanismo funziona attraverso la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi facenti parte dell’eurozona, da emettersi a cura di un’apposita eventuale agenzia dell’Unione Europea, la cui solvibilità sarebbe garantita congiuntamente dagli stessi Paesi dell’eurozona.
Detta così sembra una soluzione perfetta. L’avvento della tanto agognata “Europa dei popoli”, solidale ed efficiente, dove chi è più ricco sostiene chi è più povero.
Quindi da dove nascono polemiche, dubbi e perplessità?
Ecco, se davvero l’intenzione del legislatore Europeo fosse quella di creare un vero bilancio europeo, allora nulla quaestio: gli eurobonds ne sarebbero la naturale ed organica conseguenza.
Ma se, come paventato, si pretendesse di utilizzare tale strumento per fronteggiare, una tantum, una situazione di natura meramente congiunturale (se non emergenziale), allora siamo alla fantaeconomia.
Gli eurobonds sarebbero lo strumento naturale di quotazione del debito comune europeo, qualora esistesse! C’è, però da prendere atto che dal momento in cui questa idea viaggia a distanza sesquipedale dalla realtà economica contemporanea, restano tante, troppe questioni aperte, irrisolte e, ad oggi, irrisolvibili.
A cosa andrebbero ancorati? Quale sarebbe il sottostante? Chi li garantisce? In che misura? Con quale scadenza?
Immaginate di porre queste domande a chi ci governa.
E, dunque, arriviamo alle questioni poste in apertura dell’articolo: perché non valutare soluzioni esogene? Perché bollarle come “dannose per il popolo italiano”?
Proviamo a dare una lettura alternativa ai coronabonds.
La questua che il nostro governo sta implorando, invocando l’emissione di bond europei, affonda le proprie ragioni nel fatto che i Paesi che fanno richiesta di aiuto al MES devono accettare di rispettare una serie di indicazioni da parte degli Organismi europei necessarie a risanare la propria situazione economica. Tutto ciò, tra l’altro, sotto il controllo della temuta Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) che vigila sull’effettiva realizzazione delle riforme e dei cambiamenti nazionali richiesti dall’Europa.
Ed ecco che in maniera ripetitiva quanto rassicurante insorgere i sovranisti che recriminano per una presunta invasione nella politica interna dei paesi in difficoltà da parte della tirannica Europa e rivendicano le “coraggiose” ed “innovative” riforme messe a punto negli ultimi anni.
Le riforme. Uno dei termini più abusati e più violentati della storia della lingua italiana dal Manzoni ad oggi.
Quali riforme? Quali messe in campo dagli ultimi governi e quali eventualmente imporrebbe la Troika?
Pare che il nodo della questione sia proprio questo. Vale a dire, dopo aver approvato le più bieche e miopi riforme che la politica economica italiana abbia subito in oltre trent’anni, dopo aver regalato l’elemosina del reddito di cittadinanza, dopo aver architettato “quota 100” (la riforma delle pensioni più cervellotica da quando la gente andava in pensione con 18 anni 6 mesi e un giorno di contributi), dopo il no alle grandi infrastrutture, dopo aver avanzato la candidatura per assurgere a “Cuba del terzo millennio”, chi ci governa pretende di mantenere gli sprechi e riversare con un meccanismo poco chiaro (anche a loro) la spesa per l’emergenza su altri. Solita visione a metà tra il provinciale e l’autarchico verrebbe da dire.
Allora la domanda sorge spontanea: in cosa consisterebbero, invece, queste “spaventose” invasioni della Troika nelle scelte di politica economica nazionale?
Un’idea vaga, ma abbastanza aderente al vero è facilmente immaginabile. Ad esempio, eliminare il reddito di cittadinanza? Eliminare “quota 100”? Tagliare drasticamente le pensioni? Rafforzare i principi cardine del Jobs Act e della Legge Fornero in chiave liberista? Bloccare gli adeguamenti ISTAT per gli stipendi dei dipendenti pubblici?
Ma nella proposta al vaglio dell’Eurozona è un Mes “depotenziato” o Pandemic crisis support, si tratterebbe di un prestito pari al 2% del Pil italiano, vincolato alla spesa sanitaria. La differenza principale con il più famigerato Mes è che in questo caso non sono previsti vincoli particolari di bilancio né memorandum da firmare.
Siamo sicuri che in nome di quelle accennate barriere ideologiche dietro cui si difendono provvedimenti insensati non si nascondono solo sprechi che, giocoforza, dovranno pagare le generazioni future?
Gli sprechi, la mancanza di liquidità per far fronte all’emergenza.
Emergenza drammatica, sanitaria e sociale, che ha bisogno spasmodico di idee vere e fagocita tanta, tanta liquidità.
Nel tentativo di creare un connubio vincente tra idee valide e sostenibili e “tanta liquidità”, già dal lontano 2012, per quei Paesi che avessero avviato un programma di aiuto finanziario o un programma precauzionale con il Meccanismo Europeo di Stabilità, il Consiglio Europeo ha introdotto le c.d. “O.M.T.” (Outright monetary transactions).
In maniera lucida e lungimirante fu creato uno strumento, le OMT, che consentisse alla BCE di acquistare direttamente titoli di stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata (c.d. requisito di condizionalità).
La principale peculiarità di queste operazioni è che con esse la BCE riceverebbe lo stesso trattamento di un qualsiasi creditore privato, ottenendo uguale remunerazione e non potendo vantare alcuna priorità in caso di ristrutturazione del debito.
La liquidità immessa nel mercato a ragione dell’acquisto dei titoli di Stato verrebbe pienamente sterilizzata, cioè riassorbita (ad esempio vendendo altri titoli) per evitare che queste operazioni interferiscano con la politica monetaria che mira a controllare il tasso di inflazione.
Il MES a condizionalità limitata, abbinato alle OMT, può rappresentare uno strumento in realtà molto efficace e vantaggioso, dunque, per chi ne usufruisce.
Il motivo è presto spiegato. L’eventuale ricorso ad una linea di credito gestita dal MES da parte di un Paese come l’Italia in questo momento storico, infatti, sbloccherebbe la possibilità di attivare il programma OMT.
Esso garantirebbe all’Eurotower l’acquisto di una quantità pressoché illimitata di titoli di Stato con maturità da 1 a 3 anni andando ad abbattere il rendimento dei Bond nazionali, permettendo al governo di ottenere liquidità immediata e senza costi per fronteggiare l’immensa spesa sanitaria e sociale a cui siamo sottoposti.
Probabilmente, anche se impopolare, sarebbe più sensato accedere ai fondi del MES, attuando riforme strutturali necessarie e, successivamente, dare la possibilità alla BCE di acquistare (anche sul secondario) titoli che garantirebbero la liquidità necessaria a breve termine per scongiurare emergenza e, solite quanto stucchevoli, misure da finanziare a debito.
avv. Giulio Elefante
Sinopenauta