L’uso congiunturale della Costituzione

di Mario Panebianco

Professore di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Salerno

Il 20 ed il 21 settembre si svolgerà il referendum popolare relativo alla approvazione della legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. Come è noto, la consultazione, originariamente fissata nel mese di marzo, è stata posticipata in ragione della pandemia. Si tratta di un fatto più unico che raro. Nonostante un supplementare e congruo lasso di tempo, da troppo poco è stata riavviata una riflessione pubblica. L’auspicio è che si possa sviluppare un dibattito  non avvinto, come accaduto nel 2016,  dalla logica manichea del “sì” e del “no”, ma finalizzato alla conoscenza ed alla comprensione innanzitutto di un equilibrio costituzionale, che è il vero antivirus da installare nella vita pubblica, anche in periodi così difficili.

Cosa è cambiato in sei mesi, dato che, oggi, il risultato appare decisamente più incerto e rilevanti componenti dell’arco parlamentare sembrano avere cambiato opinione rispetto a quanto votato, in maniera quasi unanime – sic…-, ad ottobre 2019? Anche se non è elegante auto citarsi, mi permetto di riproporre uno stralcio di un articolo – pubblicato ad inizio gennaio su una rivista telematica specialistica– solo per cristallizzare la riflessione indipendentemente dagli eventi successivi.

“Un’ulteriore esperienza meritevole di attenzione è il testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” – GU n. 240 del 12 ottobre 2019 – relativa alla riduzione a quattrocento deputati e duecento senatori, i primi in proporzione di uno per centocinquantunomila elettori circa – da novantaseimila circa -, i senatori in proporzione di uno per trecentoduemila circa – da centottantomila circa -.

Si tratta di una revisione puntuale che, proprio in quanto tale, paradossalmente ha generato – condivisibili – critiche in ordine alla sua “incompletezza”. La citata riduzione numerica non è censurabile se non per il modo in cui è stata fatta e perché non introduce un nuovo equilibrio costituzionale ma si limita a “ridurre” il precedente. Si è scelta la strada più semplice, ma meno efficace per risollevare le sorti della democrazia parlamentare. E’ stata presentata all’opinione pubblica con l’infelice logica del taglio, della casta e dei costi, ma non risolve il problema dei rapporti tra classe politica e popolo. Senza l’introduzione di garanzie e contrappesi, un cambiamento in astratto lodevole potrebbe rivelarsi inutile e, alla fine, addirittura controproducente. Modificare alcuni articoli senza preoccuparsi dei passi successivi significherebbe stravolgere un equilibrio costituzionale che spesso si è rivelato un argine contro le spinte più controverse e discutibili.

Certo, bisogna chiedersi perché ridurre il numero dei parlamentari sia diventato così facile. Dipende anche dalla perdita progressiva di ruolo e di identità del potere legislativo. Il problema è di rafforzare la democrazia parlamentare evitando che la riduzione diventi una tappa della sua ulteriore delegittimazione, tale da allargare ancora il menzionato solco fra sistema politico-istituzionale e popolo.

La presa d’atto dei rischi del testo approvato dalle Camere è palese in un documento del 7 ottobre 2019 – denominato “Gli impegni dei Capigruppo di maggioranza in tema di riforme della Costituzione, delle leggi elettorali di Camera e Senato e dei Regolamenti parlamentari” – in cui i Capigruppo assumono impegni da iniziare a concretizzare, con le altre forze parlamentari, entro il 2019.

Il primo impegno è nel senso che “la riduzione del numero dei parlamentari incide sul funzionamento delle leggi elettorali di Camera e Senato, aggravandone alcuni aspetti problematici, con riguardo alla rappresentanza sia delle forze politiche sia delle diverse comunità territoriali. Conseguentemente, ci impegniamo a presentare entro il mese di dicembre un progetto di nuova legge elettorale per Camera e Senato al fine di garantire più efficacemente il pluralismo politico e territoriale, la parità di genere e il rigoroso rispetto dei principi della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia elettorale e di tutela delle minoranze linguistiche”.

I successivi impegni vertono l’abbassamento dell’età per il voto al Senato per equiparare i requisiti di elettorato attivo e passivo di Camera e Senato, la modifica del principio della base regionale per l’elezione del Senato e il riequilibrio del “peso dei delegati regionali che integrano il Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica, a partire dall’elezione successiva a quella delle nuove Camere in composizione ridotta”, la modifica dei regolamenti parlamentari vigenti “così da adeguarli in modo efficiente al nuovo numero dei parlamentari, garantendo in entrambi i rami del Parlamento alle minoranze linguistiche di potere costituire gruppi o componenti autonome. Nel contempo tale riforma è essenziale per valorizzare il ruolo del Parlamento con interventi tesi ad armonizzare il funzionamento delle due Camere e limitare in maniera strutturale il ricorso alla decretazione d’urgenza e alla questione di fiducia. In particolare si tratta di intervenire anche sulla disciplina del procedimento legislativo allo scopo di dare certezza di tempi alle iniziative del Governo e più in generale ai procedimenti parlamentari, coniugando la celerità dell’esame parlamentare con i diritti delle minoranze”.

L’ultimo impegno è “per dare piena attuazione al punto 10 del Programma di governo”, per avviare un percorso aperto ed inclusivo “volto anche a definire possibili interventi costituzionali, tra cui quelli relativi alla struttura del rapporto fiduciario tra le Camere e il Governo e alla valorizzazione delle Camere e delle Regioni per un’attuazione ordinata e tempestiva dell’”autonomia differenziata”.

In prospettiva costituzionalistica si conferma un trend “congiunturale” di revisione costituzionale, non smentito da una maggioranza parlamentare così ampia “solo” nell’ultimissimo passaggio parlamentare. La legge in questione è sostanzialmente una componente, che nasce parziale, di una politica di riforma tutta da definire e che ha come unico profilo di certezza l’appartenenza alla non convincente esperienza della storia delle revisioni costituzionali organiche. Dal documento dei Capigruppo emerge che le forze di maggioranza sono consapevoli dell’incompletezza della revisione appena approvata, il che corrobora la tesi di una riforma con motivazione sbagliata8, e si impegnano nell’opera di revisione organica della Parte II della Carta repubblicana e di approvazione della legge elettorale”.

Tanto premesso, non può non registrarsi, oggi, la conferma dell’uso congiunturale della Costituzione rispetto ad una revisione che rimane appena “accettabile”, inevitabile espressione dell’attuale classe parlamentare. Ciò perché, in prospettiva costituzionale e di politica costituzionale: la riforma non apre prospettive, non crea rischi di funzionamento concreto delle Camere e di tenuta generale, propone una sfida alla classe politica in quanto un numero minore di senatori e deputati mette ancor più al centro il tema, invero extracostituzionale, della qualità della decisione parlamentare e del suo artefice.

Pubblicato da sinòpenauta

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