L’allocazione delle risorse al tempo della pandemia
Parasite è un film del 2019, magistralmente diretto dal sudcoreano Bong Joon-ho, premiato, meritatamente, agli Oscar come miglior film.
Film crudo, vero, ironico, drammatico ma incredibilmente profondo oltre che vicino alla nostra “comfort zone” occidentale più di quanto possa far credere l’ambientazione nel lontano oriente.
Il messaggio di fondo sotteso all’intera narrazione è quello che mette a nudo le disparità in una terra come la Corea del Sud, così occidentale, così capitalista. Così tanto capitalista.
Il tutto ed il niente a confronto.
Perché il tutto è tutto, chi ha tutto ha tutto: “Così poco preavviso e sono tutti così perfetti…per loro è normale esserlo”. Il niente è niente, e chi ha niente ha niente: “Non aver mai alcun tipo di piano, neanche l’ombra. Sai perché? Se elabori un piano, la vita non va mai nel verso che vuoi tu”.
La vita non va mai nel verso che vuoi tu.
Messaggio a metà tra un realismo disilluso ed un nichilismo pasoliniano proprio di determinati momenti della cultura novecentesca; quasi una “rinuncia alla vita” che rimanda ad altre opere fondamentali del novecento occidentale come appunto il Decameron di Pier Paolo Pasolini, o la “Pastorale Americana” del compianto Philip Roth.
Appunto, rinuncia alla vita.
Quel maledetto 9 marzo 2020, giorno di imposizione del tanto inutile quanto deleterio “hard lockdown”, voluto dal governo Conte II per mascherare la propria totale inadeguatezza, su tutti i media riecheggiava il mantra:” Necessario rinunciare alla vita sociale per qualche settimana”.
Le poche settimane sono diventate un anno (ça va sans dire) e intanto Forbes ha pubblicato la trentacinquesima lista annuale delle persone più ricche del mondo in cui figurano 2.755 miliardari! Cifra record, 660 in più rispetto a un anno fa. Nel complesso, la somma dei loro patrimoni è di circa 13.100 miliardi di dollari: 8 mila miliardi circa in più del totale della classifica 2020.
La cosa interessante è che anche la Banca Mondiale ha pubblicato, contemporaneamente alla solita classifica di Forbes, uno studio abbastanza attuale e puntuale secondo cui per la prima volta in oltre 20 anni, il numero delle persone sotto la soglia di povertà – vale quelle che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno – è destinato ad aumentare quest’anno e il prossimo, con l’estrema povertà che colpirà fra il 9,1% a il 9,4% della popolazione globale nel 2021, in peggioramento rispetto agli ultimi anni.
I così detti nuovi poveri (mica pensavate ci fossero solo i “nuovi miliardari” alla Kim Kardashian?!), otto su dieci, saranno concentrati nei paesi a medio reddito.
Ecco dunque, fatta questa debita premessa, si arriva al nodo cruciale della questione: è efficiente, equo, giusto, sostenibile (inteso come autopoietico) un sistema che permette una distribuzione così polarizzata della ricchezza?
A pensarci, Amartya Kumar Sen ha vinto un premio Nobel rispondendo un secco no a questa domanda e dimostrando (o cercando di dimostrare) i limiti del modello paretiano di allocazione ottima delle risorse.
Ora, senza fantasticare e perdersi nei meandri della macroeconomia (sport anche abbastanza appassionante a dire il vero) occorre fare un passo indietro di un paio d’anni.
Estate 2019. Elezioni europee, Salvini al Papeete, il ribaltone gialloverde e giallorosso, De Ligt alla Juve. Fondamentalmente i temi erano questi.
Ciò che ai più sfuggì era anche la circostanza allarmante che vi fossero palesi segnali di recessione provenienti (guarda caso) dagli Stati Uniti, legati anche al rischio di una guerra commerciale con la Cina. Per la prima volta da oltre un decennio, si invertì la curva dei rendimenti dei titoli di Stato Usa tra la scadenza a 2 anni e quella a 10. Con buona pace degli economisti, brutalizzando il discorso per renderlo comprensibile a chiunque, in generale i rendimenti dei titoli di Stato a breve termine tendono a riflettere le attese sulla politica dei tassi di interesse delle banche centrali di riferimento (Federal Reserve nel caso degli USA), mentre quelli sui titoli più a lungo termine riflettono in gran parte le aspettative di crescita e di inflazione.
Ebbene, quella situazione non si verificava da maggio 2007 (data che agli economisti qualcosa ricorda) e soprattutto, negli ultimi 40 anni, è sempre stata anticipatrice di una recessione dell’economia americana.
Risultato?
Uno studio del 2010 intitolato “Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising” (Restiamo divisi: perché la disuguaglianza continua a crescere) della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) concluse che la disuguaglianza dei redditi nei paesi dell’OCSE aveva raggiunto il livello più alto dell’ultimo mezzo secolo, basti pensare che persino nazioni tradizionalmente più egualitarie, come la Germania, la Danimarca o la Svezia, avevano visto il divario tra ricchi e poveri espandersi da 5 a 1 degli anni ’80, a 6 a 1 del 2010. Il tutto nonostante la massiccia iniezione di liquidità voluta dalla FED nel 2008.
I più poveri, dunque, si sono impoveriti e i più ricchi si sono arricchiti. A margine di detto studio l’Ocse lanciò un allarme: se negli anni precedenti le fasce più a rischio della popolazione erano gli anziani, adesso la povertà minaccia maggiormente i più giovani. Infatti i dati dei 33 Paesi analizzati dall’Ocse mostrano nei tre anni considerati una crescita della povertà dal 13 al 14% per i bambini e dal 12 al 14% per i giovani, mentre per gli anziani, che sono in qualche modo protetti dalla pensione, si registra un calo della povertà relativa, che scende dal 15 al 12%.
A seguito di politiche economiche espansive e la costante crescita di fiducia sui mercati, almeno fino al 2020 la situazione è rimasta pressoché stabile fino alla pandemia.
Secondo un rapporto della banca svizzera UBS il patrimonio delle persone più ricche al mondo sta aumentando notevolmente anche in questo momento immediatamente successivo ad uno dei più grandi shock esogeni del sistema economico globale, proprio mentre dilaga la recessione e molti stanno perdendo il lavoro.
Nello studio dell’UBS non si citano casi singoli, ma già da tempo sono circolati nomi legati all’incremento della ricchezza: si parla ad esempio di Jeff Bezos, a capo di Amazon, di Elon Musk, in forte crescita con Tesla e SpaceX, e di Mark Zuckerberg, che nonostante critiche, scandali e disaffezione dei giovanissimi, ha registrato notevoli entrate proprio negli ultimi mesi.
La recessione, dunque, favorendo di fatto i più ricchi in considerazione della propensione al rischio che può associarsi ai grandi patrimoni (guadagni importanti sono stati ottenuti acquistando azioni mentre i mercati erano in picchiata e rivendendole durante il rialzo) ha drasticamente incrementato la disparità sociale, evidenziando ulteriormente una caratteristica del sistema economico complessivo che, al di là di considerazioni etiche, rischia di indebolirlo fortemente in prospettiva.
Ecco quindi, volendo tirare un po’ di somme, in maniera un po’ nichilista e disillusa, Karl Marx (leggerlo è un esercizio intellettuale sempre attuale e stimolante) sosteneva che il capitale si accumula all’infinito, ma con rendimenti decrescenti.
Secondo il filosofo di Treviri tale circostanza porta a conflitti tra capitalisti sempre in cerca di nuove opportunità. Se i rendimenti del capitale però sono comunque maggiori della crescita dell’economia reale, i ricchi diventeranno sempre più ricchi e la disuguaglianza aumenterà: il rapporto tra capitale e redditi crescerà da meno di 4,5 del 2010 a 6,5 nel 2100.
Per tradurre i numeri: le nostre economie occidentali non si stanno evolvendo in direzione di una maggiore uguaglianza, anzi, le spinte verso ipotetiche socialdemocrazie o prospettive di redistribuzione del Novecento sono state un’eccezione e un’illusione. In pratica, ciò che ci aspetta è sostanzialmente un ritorno ad un capitalismo ottocentesco come quello dei romanzi di Jane Austen o Balzac in cui non importa quanto lavori, qualunque carriera non potrà mai eguagliare un buon matrimonio. Perché la ricchezza non si accumula, si eredita.
In conclusione, quindi, è la dinamica interna dell’economia schumpeteriana: se il capitale cresce sempre più in fretta dell’economia reale, visto che i ricchi hanno molta più ricchezza della classe media le cui sorti dipendono dai redditi, i ricchi diventeranno sempre più ricchi.
In sostanza, molto banalmente, se non si investe nell’economia reale prediligendo le speculazioni finanziarie, si ci ritrova nel paradigma di “Parasite” in cui chi ha tutto ha tutto e chi ha niente ha niente.
avv. Giulio Elefante